Una rivoluzione…

Nei musei di “arte contemporanea”, dove si dice che l’avanguardia sia di casa, la buona pittura viene oggi ignorata; eppure la più grande rivoluzione nel campo delle arti ha avuto inizio per mano di alcuni pittori.

Ebbene si, con forme e colori sapientemente distribuiti su di una superficie si può fare una rivoluzione. Eppure, in questo nostro tempo affollato di sedicenti innovatori, i musei di arte contemporanea trascurano la pittura. Credo che ciò sia in gran parte dovuto al fatto che tanti odierni “addetti ai lavori” ancora non comprendono davvero la trasformazione iniziata con il lavoro di Paul Cézanne, portata ad un primo sostanziale compimento cinquanta anni dopo da Piet Mondrian ed oggi ancora in corso. Maggiore è la profondità del cambiamento, più duraturo sarà il tempo necessario affinché se ne comprenda tutta l’importanza.

Si tratta di un processo finalizzato alla costruzione di uno spazio plastico attraverso cui vedere il mondo in modo nuovo. Uno spazio in grado di evocare la realtà esteriore e quella interiore nella loro dinamica ed inscindibile relazione. Una rivoluzione copernicana rispetto all’arte che fino agli inizi del Novecento si concentrava sulle forme del mondo esterno, vale a dire, sulla cosiddetta visione realistica o volgarmente detta figurativa, cioè solo su quella parte di realtà che noi riusciamo a percepire.

“La realtà non è come ci appare” spiega lo scienziato e filosofo della scienza Carlo Rovelli nel suo libro omonimo.

Ciò che noi chiamiamo realtà è solo una parte del mondo reale. I nostri sensi non colgono la realtà del microcosmo che genera ed è sostanza di tutto ciò che noi vediamo. Nei suoi scritti Paul Klee dice che “l’arte rende visibile l’invisibile”. Astraendo dalle apparenze, cioè a dire, da una realtà parziale, la pittura può evocare nei modi suoi propri il visibile e l’invisibile, vale a dire, una realtà più vera.

L’astrazione, quando non è solo una comoda scorciatoia, restituisce alla pittura uno sguardo universale. Si capisce dunque perché essa non possa soddisfare le comode strategie di facile intrattenimento perseguite da tanti musei di arte contemporanea. Anche la distinzione fra pieno e vuoto non ha più senso poiché il “vuoto” è solo una diversa concentrazione della stessa energia che genera il “pieno”. È piuttosto ingenuo chiamare realistica la pittura che imita le parvenze e bollare come incomprensibile quella che, ampliando lo sguardo, evoca anche la parte di realtà a noi non direttamente accessibile.

“Scopo dell’arte non è rappresentare le apparenze esteriori delle cose ma il loro significato interiore.” (Aristotele)

Come evocare simultaneamente mondo esteriore e mondo interiore, macro e microcosmo, “pieno” e “vuoto” se non astraendo dall’aspetto esteriore delle cose? “Quanto ai dettagli il pittore non deve più preoccuparsene. C’è la fotografia per rendere cento volte meglio e più rapidamente la moltitudine dei particolari.” (Henri Matisse)

L’astrattismo, come dicono alcuni, non è uno degli “ismi” (Impressionismo, Espressionismo, Cubismo, Surrealismo..) sbocciati tra la fine dell’Ottocento ed i primi del Novecento. La visione astratta del reale unisce in sé tutti quegli “ismi” restituendo alla pittura uno sguardo omnicomprensivo.

La pittura astratta è un’efficace strumento per dialogare con la complessa realtà odierna.

Realtà non più intesa come statica rappresentazione di alcune cose, bensì come spazio che evolve fra noi e tutte le cose, vale a dire, come dinamica ed imprevedibile interazione fra soggetto ed oggetto.

Fino alla metà dell’Ottocento, la pittura si basava sulla visione prospettica sviluppatasi agli inizi del Quattrocento. Il punto di fuga dello spazio prospettico, verso cui converge idealmente tutto il mondo visibile, è la proiezione sulla superficie dipinta della postazione fissa dalla quale l’uomo descriveva un mondo tendenzialmente statico. A quel tempo si andava al passo dell’uomo ed a quella velocità il mondo appare quasi fermo. Anche da un punto di vista sociale, economico e politico le società cambiavano molto più lentamente di oggi.

Agli inizi del Novecento l’illuminazione elettrica e nuovi mezzi di trasporto imprimono accelerazioni mai prima sperimentate dagli uomini. In virtù della crescente velocità cambiano continuamente i rapporti fra l’osservatore e la scena osservata; un paesaggio, un edificio od un albero appaiono in un rapido susseguirsi di vari punti di vista.

Nel 1905 Albert Einstein sostiene che spazio e tempo sono indissolubilmente legati e nelle prime opere cubiste di Braque e Picasso un oggetto prende sulla tela tutte le forme che appaiono mentre lo si osserva da una postazione mobile, vale a dire, in un certo lasso di tempo. Quelle strane facce con tre, quattro occhi e quell’unica bottiglia che sembra moltiplicarsi sotto lo sguardo di un osservatore che gli gira intorno.

Diversamente dallo spazio prospettico (volgarmente detto figurativo), lo spazio cubista considera il mondo visibile nel suo divenire più che nella sua statica permanenza. Per Mondrian il cubismo sarà soprattutto un modo per mettere a fuoco l’intima struttura delle cose e trovare una sorta di comune denominatore fra le cose più diverse fra loro. “L’arte deve esprimere l’universale” dirà il pittore olandese.

Qualche anno prima, i pittori Impressionisti mettevano l’accento sulla luce che cambia l’aspetto degli oggetti, un modo per dire che non si riesce mai a fissare in modo permanente la realtà. Parallelamente, con un’accentuazione ed un libero uso del colore i pittori Espressionisti ponevano l’enfasi sul mondo interiore, vale a dire, su come ognuno di noi vede le cose. Non a caso la psicanalisi prende a svilupparsi in quegli anni.

Da queste premesse è iniziata nella storia dell’arte e della cultura occidentale una delle più radicali trasformazioni dello spazio plastico. Dal Cubismo si svilupperà il Neoplasticismo di Mondrian che, dopo cinquant’anni di lavoro, troverà uno spazio completamente nuovo che costituisce la prima sostanziale alternativa allo spazio prospettico messo in crisi dai pittori Impressionisti, Espressionisti e Cubisti; uno spazio in grado di rappresentare la ben più complessa e dinamica realtà attuale. Uno spazio di cui non si è ancora ben compresa l’immensa portata innovativa.

Che cosa resta oggi dopo questa rivoluzione?

A mio modo di vedere, resta, oggi più che mai, la necessità di creare equilibrio, armonia e bellezza.

“Per me, un dipinto deve essere una cosa amabile, allegra e bella, sì, bella. Ci sono già abbastanza cose noiose nella vita senza che ci si metta a fabbricarne altre.” (Auguste Renoir)

“Voglio un’arte d’equilibrio, di purezza, che non inquieti né turbi; voglio che l’uomo affaticato, esaurito, spossato, assapori davanti alla mia pittura la calma e il riposo” (Henri Matisse)

Per tanti odierni aspiranti artisti bellezza, armonia, equilibrio non sono valori per i quali valga la pena di lavorare.

“A me sembra che la ricerca di armonia sia la più bella fra le passioni umane” (Le Corbusier)

Perché siamo noi oggi così lontani dallo spirito dei maestri? Forse perché, diversamente da ciò che sembra, non è poi così facile creare equilibrio, armonia e bellezza. Viene in mente la favola della volpe e l’uva.

Non ci si spiega perché certe relazioni di forma e colore suscitino in noi un senso di armonia e perché l’armonia risulti ancor più credibile quando essa venga contrastata all’interno di una stessa composizione. Eraclito diceva che la più grande armonia si genera da un contrasto fra opposti. La grande pittura ha sempre soddisfatto tale condizione; da Giotto a Piero, da Raffaello a Caravaggio, da Poussin a Cézanne a Mondrian. Nulla del mondo reale si dà in sé e per sé; tutto acquista valore e significato dalla relazione fra cose diverse ed opposte. Non è tuttavia impresa facile esprimere equilibrio, armonia ed unità dinamica dal contrasto fra le cose più diverse fra loro.

Resta la necessità di astrarre dalle contingenze particolari per evocare uno sguardo d’insieme.

C’è un disegno comune a tutte le cose, le piante, gli alberi, gli animali, gli uomini, ed è con questo disegno che si deve essere in consonanza.” (Henri Matisse)

Alla grande varietà di forme naturali andrebbero aggiunte quelle artificiali che oggi si affollano nei nostri spazi urbani, nelle nostre case e nel nostro spazio mentale. Una ricerca israeliana pubblicata su Nature ha stabilito che nel 2020 il peso dei manufatti artificiali ha superato quello degli esseri viventi. La plastica con i suoi otto miliardi di tonnellate sovrasta gli animali, che sono fermi a quattro. Quando parliamo di ambiente, ci stiamo ormai riferendo più ad artificio che a natura.

Anche l’arte è, per l’appunto, artificio. Un artificio elaborato da menti sensibili che invita a trovare equilibrio ed armonia con la natura e con se stessi. Le parole non sono la vita ma i poeti sanno come renderle più fresche e più vive di un torrente. Le sette note musicali sono suoni in sé privi di significato che, tuttavia, combinati in un certo modo possono diventare più eloquenti di una schietta giornata di sole. Anche con linee e colori si può rendere omaggio alla vita.

Dipingere significa osservare il mondo, inebriarsi dei suoi colori e trasformare la sua infinita varietà nelle più sintetiche forme del pensiero. Questo significa astrarre. Anche i dipinti del passato sono astrazioni con la differenza che noi a quel livello di astrazione ci siamo da tempo abituati e perciò definiamo realistiche e comprensibili immagini dove angeli volano in cielo ed un uomo anziano presiede un consesso di uomini seduti su delle nuvole. Tanti credono di comprendere un dipinto solo perché riconoscono in esso cose già viste, ma questo non significa comprendere l’arte della pittura.

“Dipingere non è copiare servilmente l’oggetto, è cogliere l’armonia fra numerosi rapporti e trasferirli in un sistema proprio, sviluppandoli secondo una logica nuova e originale. (Paul Cézanne)

“Il pittore debuttante pensa di dipingere col cuore. Anche l’artista al termine del suo sviluppo pensa di dipingere col cuore. Ma solo quest’ultimo ha ragione perché l’allenamento e la disciplina che si è imposto gli permettono di accettare gli impulsi.” (Henri Matisse)

“La tecnica artistica comporta un linguaggio e una logica. Un’intelligenza, con una grande capacità organizzativa, è la più preziosa collaboratrice della sensibilità per la realizzazione dell’opera d’arte.” (Paul Cézanne)

Armonia, rapporti, logica, disciplina; così parlavano degli autentici rivoluzionari delle arti plastiche. Penso a tutti quelli che nascondono le proprie incapacità dietro a facili slogans quali “in arte non ci sono regole..” In arte, come nella vita, libertà non è assenza di regole, come qualche fragile mente crede. Essere liberi, diceva Immanuel Kant, significa poter scegliere delle regole che sono comunque necessarie. “Amo la regola che corregge l’emozione” diceva George Braque. Di regole e di logica parlano dei veri inventori al cospetto dei quali certi iper-celebrati artisti dei nostri giorni diventano poca cosa.

Viene il sospetto che il disprezzo per regole e disciplina sia una forma di subdola difesa degli incapaci anche perché distruggere è ben più facile che costruire. Non ci si stupisca dunque se le opere di alcuni maestri del primo Novecento costituiscano ancora oggi dei validi ed insuperati punti di riferimento per chi predilige la sostanza delle cose. Ciò vale non solo per la qualità delle loro opere, ma anche per la mole di riflessioni che essi hanno sviluppato in forma di scritti.

Si tratta di pensieri che oltre a trattare aspetti specifici del loro operare, testimoniano del loro impegno ideale, etico e sociale nel contesto storico in cui hanno vissuto. Riflessioni di natura universale sulla condizione umana. Provate a cercare qualche cosa del genere nella produzione di tante stelle del firmamento artistico contemporaneo.

Ancora Cézanne: “Tutto in natura è modellato sulla sfera, sul cono e sul cilindro. Si deve imparare a dipingere in queste figure semplici. In seguito si potrà fare tutto quello che si desidera.”

Da questa frase si capisce l’inizio del processo che ha aperto la strada ad una rappresentazione astratta della realtà.

Guillaume Apollinaire intervista Matisse: “L’eloquenza delle vostre opere viene soprattutto dalla combinazione dei colori e delle linee. Questa, e non la semplice riproduzione dell’oggetto (come ancora credono certe intelligenze superficiali), costituisce l’arte del pittore.”

Che cosa resta dopo quella rivoluzione se non l’essenza dell’arte del dipingere, vale a dire, relazioni di colori, forme e proporzioni che, allietando l’occhio, sappiano nel contempo evocare sostanza.

“Gli apprezzamenti della critica in materia d’arte sono formulati seguendo più le convenzioni letterarie che i criteri estetici. E figurati se sanno che sposando una tonalità di verde a un rosso si rattrista una bocca o si fa sorridere una guancia.” (Paul Cézanne)

Mi dispiace per i professori abituati a cercare i significati di un dipinto nella storia e nelle lettere, ma la vera sostanza dell’arte della pittura sta nelle relazioni di forma e colore, o per meglio dire, relazioni di forma-colore essendo la forma una certa estensione di colore. La pittura è prima di tutto forma-colore che, attraverso occhi e mani esperte, può diventare contenuto. Ciò è ancor più vero nel caso della pittura astratta. C’è tanta sedicente pittura astratta che invece astratta non è perché non è frutto di un reale processo di introiezione ed espressione, di sincera analisi e di abile sintesi.

Henri Matisse descrivendo una tela di Cézanne: “Per arrivare alla semplicità di queste Baigneuses che vedete al limite del Jardin, ci vuole molta analisi, molta invenzione e molto amore. Bisogna esserne degni, meritarle. Ho già detto una volta: “Quando la sintesi è immediata, è schematica, senza densità, e l’espressione s’impoverisce”. Tanta odierna sedicente pittura astratta è solo frutto di schemi privi di densità esistenziale, vale a dire, di contenuto.

Non basta riempire una tela di colore per realizzare un’opera d’arte astratta.

Non basta riempire una tela con forme e colori qualsiasi per generare una visione astratta del reale così come non è sufficiente ai fini della creazione di un testo letterario o musicale, una giustapposizione qualsiasi di parole o di note. La bellezza di certe combinazioni di colore, la giustezza di certi giochi della forma non s’insegnano, non s’imparano e tanto meno si spiegano a parole. Ci sono o non ci sono; si sanno riconoscere oppure no. Il colore ha una forza espressiva in sé che bisogna saper calibrare, come le note di una composizione musicale.

Così come nel linguaggio verbale con delle stesse parole si possono dire scemenze oppure esprimere bellissime frasi ricche di significato, così anche con il linguaggio delle forme e dei colori. Il vocabolario è lo stesso ma la differenza tra un’immagine dal senso compiuto ed una priva di significato è data dall’uso che si sa fare di quel vocabolario. In mancanza di canoni certi, noi siamo oggi accerchiati da tribù di analfabeti che vorrebbero farci credere di saper scrivere poesie.

Astrarre significa tradurre le infinite dimensioni dell’esistente nelle due dimensioni della superficie pittorica.

Sono sempre stati in pochi quelli capaci di simili operazioni così come pochi sono colori i quali sanno distinguere un’opera d’arte da un semplice manufatto; capacità non necessariamente legate agli studi compiuti. Conosco persone che al riguardo hanno un talento innato ed altri, ben forniti di titoli accademici, che guardano senza vedere.

L’astrazione non è solo uno dei tanti stili come superficialmente pensano nel nord America. Di fronte ad una realtà così complessa come quella odierna, astrarre è indispensabile per poter cogliere la sostanza delle cose. Rappresentare la vita in tutta la sua imprevedibile bellezza e tragedia, catturare l’essere nel divenire, evocare l’universale nel particolare. Tutta roba che non si vende facilmente; soprattutto sull’altra sponda dell’Oceano Atlantico.

Io credo che esista una relazione fra la vita sociale di una collettività e lo spazio plastico in cui essa si identifica. Non è per un caso che il nazifascismo e lo stalinismo abbiano ferocemente ostacolato l’arte astratta. Certi regimi culturali, emanazione di un ottuso potere economico e finanziario, si limitano oggi – più “democraticamente” – ad ignorare la profonda carica rivoluzionaria della visione astratta del reale.

Difficile trovare oggi nei circuiti dell’arte contemporanea opere di pittura degne del nome: convincenti composizioni di forma e colore che rallegrando l’occhio, sappiano evocare dei contenuti credibili e sostanziosi. Bice Lazzari, Ermanno Leinardi, Giovanni Dore, Giovanni Carta… Avete mai visto una loro opera esposta nei musei di arte contemporanea?